Come sono diventata fotografa

Credo di aver cominciato a fotografare per paura della vita.

Da sempre incapace di vivere pienamente il presente, come una corda tesa fra nostalgia del passato e paura del futuro, ho scoperto molto presto un metodo quasi infallibile per tenere a bada la realtà: fotografarla per renderla immortale, neutralizzarla, gestirla a piacimento.

Ho foto ovunque: nel portafogli e nell'agenda quelle che mi danno gioia, appese alle pareti quelle che voglio vedere tutti i giorni, in fondo al cassetto più nascosto quelle che non voglio più guardare.

Fin da piccola sono arrivata a desiderare che un evento, anche piacevole, diventasse presto un pezzo di passato, una fotografia da tenere fra le mani.

Tutto questo non è bellissimo, ne sono consapevole. Le pagine web dei fotografi sono sempre piene di racconti affascinanti sul primo approccio alla fotografia. Quasi tutti iniziano raccontando come hanno avuto la loro prima reflex.

Io l'ho avuta per la maturità, ma ho iniziato a fare foto molto prima, a stamparmele da sola molto prima. E, non me ne volete, l'ho fatto per un unico motivo del quale ho acquisito consapevolezza solo nella maturità: paura della vita e ansia del controllo su pezzi di esistenza fermati nel tempo.

Sarà per questo che ho sempre preferito quella che definisco la "staticità dinamica" di una fotografia al movimento del video. La dinamicità di un'immagine è tutta intrinseca. Le addizioni o sottrazioni di realtà avvengono tutte dentro lo sguardo di chi la osserva.

Certo, raccontata così sembra la storia di un percorso sofferto. Invece è l'esatto contrario. In certi momenti è stato un percorso addirittura salvifico.

E non è un caso che quando ho iniziato la professione io abbia deliberatamente scelto di fotografare le persone negli attimi più felici della loro vita. Non avrei potuto fare altro.

Cristina P.